Vulcani

Published: 24.09.2024

di Alice Ongaro Sartori

19 agosto, 2024

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Negli ultimi otto mesi, mi sono avvicinata ai vulcani più di quanto abbia mai fatto in tutta la mia vita. Avevo promesso di scrivere un testo per il blog di Metagoon già a marzo, ma non ci sono mai riuscita. In parte per mancanza di tempo, in parte perché non riuscivo a trovare ispirazione nei miei pensieri legati alla laguna di Venezia e all’acqua. Essendo una persona tendenzialmente indisciplinata, mi accade spesso che, una volta preso un impegno, quel qualcosa smetta di entusiasmarmi. Così, di ritorno dalla Grecia, durante l’atterraggio di un volo EasyJet su Venezia, senza nemmeno guardare la laguna dal finestrino come faccio sistematicamente, ho iniziato a scrivere alcune riflessioni sugli incontri più entusiasmanti di quest’anno: quelli con i vulcani.

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Un vulcano può arrivare ad avere 150 miliardi di anni, e tra gli 11 vulcani più grandi al mondo ben due sono in Italia (Etna e Stremboli). Sono appena tornata da un’isola vulcanica greca, si chiama Nysiros e dall’alto è piccola e tonda e tostata come un biscotto. Le spiagge di Nysiros sono selvagge, il fondale del mare nero perché i sassi sono grossi e cupi e l’acqua è morbida come il velluto. Io ed Eleni siamo scese nel cratere, che si chiama Stefanos ed è cosparso di zaffate di polvere di zolfo giallo fluorescente e rosso. Il resto è un paesaggio selenico, che mi ha ricordato le steppe della Mongolia dove non cresce vita da milioni di anni ed è sempre tutto lì come l’anno lasciato i dinosauri. L’odore è putrido ma non repelle. Il vulcano dorme ma le bocche fumaroliche soffiano vapore più caldo dell’estate. Camminiamo, cercando di essere soffici. Siamo sole in mezzo alla bocca di un vulcano vivo ma che dorme, e ci sentiamo delle regine. Dicono che i gas sulfurei emessi dai canali vulcanici possono causare irritazioni cutanee e difficoltà respiratorie. Io mi sono sentita sprofondare in un magma dolce e familiare.

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Un mese fa io e Matteo siamo stati a Catania, nel quartiere di San Giovanni Li Cuti, per il festival mycto.forme. Prima di partire, Bruna ci ha avvisati che l’aereoporto di Catania era in tilt per una tempesta causata dall’Etna. Siamo riusciti ad atterrare. Catania era ricoperta di terra nera che il vulcano aveva eruttato i giorni precedenti; nera: sopra i marciapiedi, sopra le macchine, sopra l’asfalto delle strade. Per i catanesi non c’era nulla di strano: Mamma Etna sputa terra e ci si sente a casa. O così ci ha detto Angelo. Al tramonto io, Matteo, Anja e Teresa abbiamo fatto il bagno a San Giovanni Li Cuti, piccolo e primo borgo di pescatori di Catania. Ci sono casse per la pesca capovolte che alcune signore usano per sedersi e leggere. Ombrelloni portati da casa e giovani ragazze sull’orlo della baia di San Giovanni entrano per l’ultimo bagno della giornata, il più bello, per vedere il sole tramontare nel mare. Molti ragazzi sono lì per mycto.forme, e Bruna ci dice di fare un bagno veloce – a Venezia si direbbe una tociada – prima di iniziare la serata. Aveva usato la stessa naturalezza che avrebbe usato se ci avesse detto di lavarci le mani veloci e sedersi a tavola prima di cena.

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Stare vicino ad un vulcano mi ha appesantita, trattenuta e ancorata ferocemente ad un luogo della memoria. Ho fatto fatica a staccarmene, perché qualcosa di viscerale in me si era attaccato a quel luogo. Mi sono sentita, a Nysiros, a Catania, presente e insistente sul luogo in maniera consapevole, quindi felice. Non voglio scrivere qui che i vulcani hanno una energia importante, forse però il potente straniamento che i vulcani mi hanno provocato, proprio perché per me non sono familiari, mi hanno obbligata ad un’intimità straordinaria.

Vi chiederete perché il primo testo per il blog di Metagoon è una mia riflessione su vulcani che ho visto, e la risposta non è solo perché sono indisciplinata. Una parte della risposta l’ho trovata nella prefazione di Oceano di Steve Mentz, che leggevo ad Aci Trezza, con l’Etna alle spalle e i faraglioni nel mare davanti. Mentz riprende il pluricitato Le Città Invisibili di Italo Calvino sottolineando una cosa che per mia sorpresa non ho trovato banale. La città che Marco Polo rivede in tutte le altre che attraversa è Venezia – non perché sia (indubbiamente) unica e la città da dove viene. Ciò che lo colpisce è che Venezia ha un rapporto con l’acqua basato sull’intimità. A questa cosa non avevo mai pensato.

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Eppure le voci di Metagoon, attraverso le interviste, raccontano un rapporto con l’acqua basato non solo sulla quotidianità, ma anche su un legame intimo, personale e attento. Penso al progetto CMV Panfido, in cui i piloti di rimorchiatori spiegano come le loro giornate siano scandite dall’interazione continua con la laguna, sia durante il trasporto di merci sia nelle piccole attività quotidiane. Questo lavoro diventa un atto di connessione profonda con l’ambiente. Ugo Scortegagna, un biologo della laguna, descrive dettagliatamente la formazione geologica della laguna di Venezia e l’influenza delle attività umane su di essa. Il suo racconto offre una prospettiva a lungo termine sul rapporto tra l’uomo e questo ecosistema, mettendo in luce il senso di responsabilità per la sua conservazione. Lo scienziato Davide Tagliapietra esplora il legame profondo tra l’ambiente lagunare e quello montano, creando una sorprendente analogia tra ecosistemi apparentemente lontani. Questo legame si fonda su una percezione sensoriale della laguna, che secondo lui è in costante mutamento, con variazioni nel colore, nell’odore e nel silenzio, che segnano momenti di trasformazione ambientale e personale. La vicinanza ai vulcani mi ha fatto riflettere molto sulla laguna, sui suoi cambiamenti, e mi chiedevo il perché. Poi, riascoltando le parole di Tagliapietra, ho trovato una spiegazione. Attraverso la metafora della montagna, Tagliapietra ha mostrato come questi due ecosistemi, seppur distanti, condividano una complessità di dinamiche ecologiche e adattamenti simili. Così, la scoperta di un nuovo paesaggio, quello vulcanico, ha forse riacceso in me un nuovo interesse per il mio “qui”.
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Cosa hanno in comune Venezia e i vulcani? Venezia e i vulcani condividono una caratteristica fondamentale: entrambi sono ecosistemi complessi, modellati da forze naturali in continuo cambiamento. La laguna di Venezia, con il suo fragile equilibrio tra terra e acqua, subisce mutamenti costanti dovuti all’azione delle maree e all’intervento umano, così come i vulcani, il cui ciclo di eruzioni e depositi di lava plasma il paesaggio circostante. Entrambi gli ambienti richiedono adattamenti ecologici da parte delle specie che vi abitano, e le persone che vi vivono devono sviluppare un profondo legame con questi cicli naturali per comprenderne e rispettarne la dinamicità. L’intimità degli abitanti di queste terre, che vivono il loro rapporto con la straordinarietà del vulcano e della laguna, mi ha portato a riflettere su un’analogia profonda. Questi elementi naturali sono straordinari e sono minacciosi. Il vulcano può esplodere, bruciare. La laguna può alzarsi in acque alte, può inondare e corrodere. Ciononostante, l’intimità vince sulla paura, e diventa familiare.